Con la sentenza n°05415/2021, il Consiglio di Stato torna a pronunciarsi sul diniego del Ministero riguardo i percorsi di specializzazione sul sostegno ottenuti in Romania, contenzioso che interessa numerosi docenti in regolare possesso dell’attestazione di valore legale rilasciata dall’autorità competente, della certificazione della frequenza e conseguimento del percorso psicopedagogico e di certificazione relativa alle materie sulle quali si è ricevuta la formazione, tuttavia non riconosciuti conformi alla legge da parte del Ministero.

Con la suddetta sentenza, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso degli appellanti invitando il Ministero ad attenersi, nella valutazione delle certificazioni, ai principi comunitari in materia, limitando la discrezionalità amministrativa.

Pertanto il Ministero è tenuto solamente alla verifica dei titoli :” la p.a è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (Consiglio di Stato, sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1198).

I giudici parafrasando gli artt. 45 e 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in tema di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento laddove si prevede che – “le autorità di uno Stato membro, quando esaminano la domanda di un cittadino di un altro Stato membro diretta ad ottenere l’autorizzazione all’esercizio di una professione regolamentata, debbono prendere in considerazione la qualificazione professionale dell’interessato procedendo ad un raffronto tra, da un lato, la qualificazione attestata dai suoi diplomi, certificati e altri titoli nonché dalla sua esperienza professionale nel settore e, dall’altro, la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente. Tale obbligo si estende a tutti i diplomi, certificati ed altri titoli, nonché all’esperienza acquisita dall’interessato nel settore, indipendentemente dal fatto che siano stati conseguiti in uno Stato membro o in un paese terzo, e non cessa di esistere in conseguenza dell’adozione di direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi. Trattasi di procedura di valutazione comparativa necessaria per “consentire alle autorità dello Stato membro ospitante di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti da parte del suo titolare il possesso di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quantomeno equipollenti a quelle attestate dal diploma nazionale” (Corte di Giustizia U.E., 6 ottobre 2015, in causa C- 298/14, Brouillard, punto 55).

In conclusione il Ministero ha il dovere di esaminare la documentazione presentata pur tenendo conto della giurisprudenza europea molto chiara al riguardo, la quale  corroborata da numerose sentenze del Consiglio di Stato fanno riferimento ad una sorta di automatismo nel riconoscimento: “Le norme della direttiva europea 2005/36 CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelle della formazione continua a tempo pieno” (Cons, St, sez. VI , n. 1198/2020). L’amministrazione avrebbe dovuto quindi valutare “la qualificazione attestata dai diplomi, certificati ed altri titoli nonché dall’esperienza professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente” (Cons. St., sez. VI, n. 5173/2020)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 6 novembre 2020, n. 6837).

Anche non riconoscere il titolo acquisito all’estero basandosi solo sulla diversità organizzativa della pubblica amministrazione estera è illegittimo, poiché riscontrare una diversa modalità di erogazione di insegnamento sul sostegno, in Romania e in Italia, pur non indicando le ragioni per le quali il livello delle conoscenze e delle qualifiche comunque attestate dal titolo estero, anche ove riferito all’insegnamento nell’ambito di scuole speciali, tenuto conto della natura e della durata degli studi, non sia idoneo a soddisfare, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività de qua nell’ambito dell’ordinamento italiano.

Alla base di tali pronunce numerosi precedenti già affrontati dal Consiglio di Stato sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1198; cfr. anche sez. VI, 2 marzo 2020, n. 1521; 20 aprile 2020, n. 2495; 8 luglio 2020, n. 4380; 24 agosto 2020, n. 5173; 16 settembre 2020, n. 5467; 3 novembre 2020, n. 6774.

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